8 settembre 1943 – 8 settembre 2006. A 63 anni dall’annuncio della resa dell’Italia agli Americani
Mentre i nostri soldati operano e muoiono in Afghanistan in Iraq e si schierano in Libano per il mantenimento la storia della guerra, ritorna sul calendario una delle numerose tristi date italiane: 8 settembre. Il pensiero va, immediato, ai militari italiani barbaramente massacrati dai tedeschi di Hitler in mezza Europa, da Cefalonia al Mar Nero, dall’Italia ai Balcani.
Noi che amiamo le nostre meravigliose Forze Armate, vogliamo che si interrompa il tragico trend tracciato da eventi sciagurati: Custoza, Lissa, Adua, Caporetto, Capo Matapan, Taranto, corazzata Roma al largo della Sardegna, Nassyria.
Sia interrotta questa dolorosa tendenza a perdere fino al sacrificio della vita dei nostri valorosi soldati. Le guerre le ordina il potere politico, l’impreparazione è quasi sempre colpa dei vertici militari. “Più sudore e meno sangue”, scriveva il Generale Dessy negli anni 60. Più formazione, addestramento, selezione dei Quadri e meno eroi da commemorare. Era il cruccio di un valoroso ed intelligente Generale come lo fu Dessy.
L’evento.
L’8 settembre 1943 l’annuncio dell’armistizio fu dato dagli americani con grave anticipo per permetterne la coincidenza con lo sbarco a Salerno. L’accordo era che l’annuncio sarebbe stato dato dagli alleati in una data segreta, ma ufficiosamente si era fatto capire che doveva essere tra il 13 e il 16 settembre.
Una cosa è certa, l’8 settembre 1943, gli Americani danno inaspettatamente l’annuncio dell’armistizio con l’Italia.
Non vi era stato il tempo per organizzare nemmeno un abbozzo di piano che consentisse ai Comandi delle Forze Italiane di far fronte alla prevedibile reazione tedesca.
La sorpresa, ai danni dei Comandi Militari Italiani, fu totale. L’alleato tedesco, all’atto dell’annuncio, è, di fatto, avversario. Si fronteggiano, da una parte, forze italiane prive di una missione, dall’altra i reparti tedeschi che devono continuare il loro compito: distruggere i nemici del Terzo Reich. E’ un aspetto questo, di solito sottovalutato, indispensabile per la comprensione del comportamento e della reazione delle Forze Armate Italiane, private sia di un compito, sia di uno scopo. I militari professionisti sanno bene che in questi casi occorre autoassegnarsi un compito per perseguire lo scopo ultimo e supremo della esistenza stessa delle forze Armate: la Difesa della Patria. In quel frangente l’unica cosa certa è la Patria. Nebbia assoluta, invece, da chi difendere la Patria. I tedeschi non erano stati dichiarati nemici, gli Alleati, per quanto si poteva capire dall’annuncio, restano nemici ai quali l’Italia si à arresa.
Tutta qui la verità storica.
Solo il 13 ottobre 1943, viene firmata dal Governo del re Vittorio Emanuele III, la dichiarazione di guerra alla Germania che diviene, in tal modo, nemica dichiarata solamente da quella data; gli ex nemici assurgono al ruolo di alleati, sui generis, dell’Italia.
Vi sono, quindi, due distinti periodi: il primo dall’8 settembre al 13 ottobre durante il quale i Comandi militari Italiani in Italia e all’estero agiscono d’iniziativa per difendere essenzialmente l’onore militare. Il secondo, dalla dichiarazione di guerra (13 ottobre) in poi, durante il quale le Forze Armate italiane combattono i tedeschi a fianco degli anglo-americani nel quadro della cobelligeranza.
E’ questa, la verità storica, scevra da percezioni, illazioni, racconti ed influenze di credo politico.
Rispetto a tale realtà si può disquisire sul valore dei nostri soldati e sui loro Comandanti. Se esaminati in questa ottica, si deve ammettere, senza alcuna remora, che i militari italiani fecero il loro dovere di soldati in situazioni ove solo pochi valori erano certi e tra essi, l’onore e la dignità umana, propria ed altrui.
I casi in cui i nostri soldati decisero di morire, combattendo piuttosto che accettare la resa, sono nettamente superiori a quelli in cui trattarono il loro destino.
E’ subito da contrastare l’affermazione che l’armistizio abbia determinato lo sfascio delle Forze Annate. Ciò non è vero o, almeno, è vero solo in parte. Fin dalla sera dell’8 settembre, e molte unità reagirono ad attacchi di unità germaniche. In Corsica, dove i tedeschi dopo l’8 settembre sono stati fronteggiati quasi esclusivamente dagli italiani, dopo un mese di combattimenti l’isola viene restituita alla Francia dalle Forze Armate italiane. Cadono nei combattimenti circa 700 soldati italiani. Molti di più di quelli avuti successivamente dal Gruppo di Combattimento “Friuli” e dal Gruppo di Combattimento “Cremona” sulla Linea Gotica nel 1945.
Nel VII, C.A. c’ erano ben otto battaglioni della Milizia compresi quelli delle Legioni appartenenti alle Divisioni o ed un Console Generale con funzioni ispettive sulle truppe e di collegamento col Comando Generale della Milizia. A tal proposito il generale Magli scrive nel suo libro Le truppe italiane in Corsica: i fatti dimostrarono… come e quanto, indipendentemente dal colore della camicia, gli animi di tutti i componenti il Corpo di Occupazione della Corsica fossero legati da un unico, saldo sentimento di dedizione alla Patria. Il numero di caduti delle Camicie Nere fu, infatti, elevato; cosi pure quello dei decorati al valore.
A Cefalonia e Corfù si consuma il sacrificio della Divisione Acqui. Perdono la vita circa 10000 uomini: Molti altri muoiono combattendo dal Mar Nero all’Adriatico o nei campi di sterminio ove furono deportati. Si fa presto ad abusare di luoghi comuni ed in taluni casi dissacranti. Le Forze Armate esistono perché strumento “per proseguire la politica con altri mezzi”. Quale politica avevano da proseguire in quel tragico periodo?