Racconto di PIERO JAHIER, scittore piemontese del 900

Il soldato Somaca

Il soldato SOMACAL Luigi da Castion – recluta dell’ ’84, terza categoria – era stato cretino dalla nascita e manovale fino alla chiamata.

Cretino vuol dire trascurato da piccolo, denutrito, inselvatichito. Manovale vuol dir servo operaio, mestiere sprezzato. Il suo lavoro consisteva in nulla essere, tutto fare. Ne porta i segni il corpo presentato alla visita militare. Somacal ha offerto alla patria un fardello di ossa tribolate in posizione di manovale.

Sporge in fuori l’osso dell’anca, che aiuta a camminar sciancati quando si deve equilibrare la secchia di calcina; gli ingranaggi dei suoi ginocchi pesanti gonfi di noccioline reumatici empiono i pantaloni, il suo busto è una groppa che aspetta in eterno di ricevere pesi; la testa si rannicchia fra le spalle, come cosa ingombrante, perché un uomo che porta, la testa gli dà noia; le sue mani di corame chiaro stringono sempre il badile; lo sguardo cerca -terra: per non inciampare.

Questa è la posizione del manovale, in cui Somacal si é presentato. Somacal deve star sulla posizione di attenti, invece.

E cos’é la posizione di attenti che « dovete prender subito voi, se siete buon militare» se non: le calcagna unite sulla stessa linea, le punte dei piedi ugualmente aperte e distanti fra loro quanto è lungo il piede, le ginocchia tese senza sforzo, il busto a piombo, il petto aperto, le spalle alla stessa altezza, le braccia pendenti, le mani naturalmente aperte con le palme rivolte verso le cosce, le dita unite col pollice lungo la costura laterale dei pantaloni, la testa alta e diritta, lo sguardo diretto avanti? La posizione d’attenti é la negazione della sua vita. Somacal vorrebbe essere buon soldato, perché é un mestiere che consiste nel passeggiar col fucile e vi passano la minestra il pane e il vestito come gli altri tale e quale (lui che non gli toccava che resti quand’era in squadra operaia), ma il suo corpo tutte queste cose non le può fare.

Prova l’attenti; prova il saluto; ma quando gli pare di esser riuscito, la mano non resiste più a mantenersi tesa, le ginocchia cominciano a tremare (vieni presto,caporale, a verificare) e quando il caporale arriva a lui tutto ha ceduto. È tornata la posizione di manovale. Somacal in uniforme é un burattino.

Il caporale lo tira fuori dai ranghi, lo fa marciar solo; e ridono tanto i suoi paesani, cottimisti con lui per la Germania, perché l’è quà Somacal che era anche 3 allora una «màcia ». Ci vuole in carovana, per sopportar la fatica. Infine, Somacal é interrogato e, parlando, scopre l’ultima qualità di burattino: ha anche la lisca Somacal Luigi. Per esser completo. Somacal gli hanno impedito di imparar l’operaio perché era così buon manovale.

Ora gli impediranno di imparare il soldato per serbarlo ridicolo. Ci vuole, in camerata; «una màcia »; per sopportare la noia.

È vero che Somacal si rinfagotta, che non sa farsi la cravatta (perché non si deve sforzar il collo chi vuol portare), che si mette il cappello torto (perché é impossibile che sul suo cappello ci sia un fregio); ma se c’é una giacca macchiata, alla vestizione, finirà certo sulla groppa di Somacal Luigi; sarà suo il fucile che non ha tempo, fucile scappatore; e la scarpa del gigante che nessuno ha voluto, e la borraccia che geme; mentre sarà di tutti, invece, il suo barattolo di grasso che tesorizzava nel buco del tavolato, o il suo stoppaccio per nettare il fucile. Su Somacal tutti si arrangiano; é una festa quando viene ripreso: ora ci farà ridere il nostro burattino. C’é speranza di riuscire. Il suo tenente non ha riso quando l’ha guardato; anzi ha detto che un soldato non conta per quel che l’han fatto i suoi parenti, ma per quello che sa diventare. È un tenente che conosce: « manovale – ha detto – é come la donna di casa che anche se fa tutto non é riconosciuta, ma poi – quando si é soldati – e oggi manca il bottone, e domani il fondo delle mutande é partito: ah! – si scopre – ghe voleva la femmena quà via ».

C’é speranza. Per due, per quattro sarà troppo difficile ancora. Ma ci son delle cose, intanto, da poter imparare.  Somacal imparerà, intanto, a far. bene quello che nessuno fa, perché tutti lo sanno fare: correrà fuori tra i primi all’adunata; arroncigliolerà le cignoline; ramazzerà per levare il sudicio e non per farlo sparire. Poi imparerà gli esercizi – quando tutti li sanno fare e sbagliano perché tanto li sanno fare; – Somacal, che sta attento, li farà bene, allora. Non sarà più tirato fuori in castigo quando si marcia di fronte «guida destr »: Ocio, Somacal, vegnì fora vù; no stè a far confusion diceva il caporale. Ora: numero uno o numero due, Somacal sa «sparire ». Forse il tenente che conosce si accorgerà che ha migliorato.

Poi la marcia; ma per la marcia non ha da imparare: si tratta di andar sotto il peso: é una cosa di prima. Poi imparerà a tener pulito il fucile; nessuna canna lustrerà come la sua; fategli ispezionarm: ecco la luminosa spira delle quattro rigature. Somacal é tranquillo: sul fucile non ci sarà osservazione. Lo sa lui che i granellini di polvere non ci possono entrare (tappato, in camerata; ma non lo dite: é proibito). Ormai Somacal sta per riuscire soldato.

Ma invece, pervenuto a questo punto, ecco che non può più bastare. Ecco ancora qualcosa di nuovo. Ecco il Tiro. Il fucile non era fatto per crociatet e ispezionarm, ma per tirare. E Somacal non può tirare. Somacal ha dovuto tener sempre bene aperti i due occhi in vita, e invece al Tiro di recluta bisogna chiuderne uno. Impossibile farlo stare. Se provi a tapparlo con una mano, come fai a « sbarare » ?

E se rivolti il cappello e lo tappi colla tesa, non basta ancora. Quel cane di occhio seguita a vedere. Bisogna bendarlo col fazzoletto. Unico rimedio. Dunque Somacal si avanza verso la stazione di tiro bendato stretto, come a mosca cieca. Ah ! se il tenente non lo vedesse ! ah ! se lo lasciassero accomodar tranquillo a suo modo ! proprio lo hanno lasciato, e ha fatto 30, Somacal Luigi. Ed é successa la cosa meravigliosa.

Che il suo tenente lo ha visto e si avvicina. Che non si é avvicinato per rimproverare; che lo ha chiamato SOMACAL LUIGI; che viene per parlare a lui che vorrebbe esser sottoterra invece: ocio, Somacal, la posision d’atenti ora. Che ha chiamato anche il capitano: «Ocio, Somacal, sguardo diretto avanti» all’infinito. « Ecco il mio amico Somacal che ha fatto trenta » dice il tenente. Dice proprio amico. Amico lo chiama, anche dopo. Perché anche lui ha cercato come Somacal di imparare la vita. Gli darà il permesso, scriverà alla sua donna di accoglierlo bene, perché é un buon soldato, suo amico, allora che Somacal ha inaugurato il suo nuovo sguardo di redenzione. Non possiamo descriverlo, noi che non siamo stati redenti mai, una cosa nuova: non l’aveva mai fatta vedere perché nessuno ne aveva cercato. Ma doveva averla pronta sotto quegli occhi d’angelo serafico montati in un viso di cretino pellagroso.

Allora che Somacal ha smesso di ridere. Somacal sorride al suo tenente, invece, sempre che lo incontra lo porta in alto nei cieli dell’amore con quel sorriso di redenzione. È allora che Somacal – siccome si sente felice – riesce a non farsi riformare.  I nocciolini reumatici lo mandano due volte sotto rassegna, ma Somacal torna alpino. Gli scoprono un fià de gola grossa laggiù all’Ospitale. Ma Somacal resta alpino. Non per la patria. Somacal non saprà mai cos’é la patria. Ma perché si sente in un’aria buona.

Vorrebbe rimanere in quell’aria buona fino alla fine. Vorrebbe sentirsi ripetere che é il suo amico. Purché lo dica ancora: sei il mio amico.

Certo, Somacal, soldato stronco, uomo zimbello, sei il mio amico. Ho trovato vicino a te l’onore d’Italia. Dico che é in basso l’onore d’Italia.