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Guerra e Pace

PACIFISTI E TEORICI DELLA GUERRA NELLA STORIA DEL PENSIERO OCCIDENTALE
di Giuseppe Brindisii

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La dicotomia Guerra-Pace attraversa l’intera storia del pensiero. Da Eraclito ad Einstein. Uso il termine pacifismo per indicare la corrente di pensiero che considera la Pace un bene da perseguire, costi quel che costi, trattandosi di valore positivo assoluto ed universale. Ovviamente,i filosofi non pacifisti non sono da considerarsi, per questo, guerrafondai. Essi, per la massima parte, considerano la Guerra fenomeno naturale e, pertanto, ineliminabile. Purtrioppo l’osservazione, anche superficiale della natura, pone in evidenza i rapporti di violenza che dominano la vita animale e, talvolta, anche vegetale (piante carnivore)

I Cristiani
In epoca imperiale i cristiani si oppongono alla visione ellenistico-romana della violenza ed alla pena di morte, inconciliabili con la fede. Nei primi tre secoli la contestazione si manifesta con forme d’opposizione allo Stato del tutto pacifiche. Con i Cristiani nasce il pacifismo antimilitaristico fondato sulle beatitudini evangeliche. Essi si rifiutano di assistere alle esecuzioni dei condannati a morte. Si mostrano avversi alle azioni armate. L’espansionismo militare è ritenuto spietata guerra di conquista. In opposizione agli ideali e ai modelli degli eroi militari della tradizione romana, costruiscono l’immagine del miles Dei, chiamato a difendere la loro libertà dall’avversa politica degli imperatori; a subire, se necessario, la tortura e la pena di morte essendo la loro eredità non gloria patriottica ma sopravvivenza presso Dio nell’aldilà.

Possiamo, quindi, affermare che il pacifismo e la non violenza sono e sono stati aspetti fondamentali del Cristianesimo.
Sant’ Agostino (354 d.C.-430 d.C.) afferma che la pace è aspirazione universale degli uomini ed è estensibile agli animali. Essa rappresenta la legge stessa, sia della vita, intesa come convivenza civile, sia dell’universo, armonicamente ordinato nella sua grandezza. La Pace, in quanto tranquillitas ordinis, è connaturata a tutta la creazione animata o inanimata.

Durante il XVI secolo, caratterizzato dalle guerre di religione scatenatesi in Europa a seguito della frattura tra Chiesa Cattolica e Chiesa Protestante, si diffonde in molti Stati la corrente filosofica del pacifismo umanistico, che vede tra i suoi esponenti Erasmo da Rotterdam e Tommaso Moro.
Tema dominante del pensiero di Erasmo è certamente evidenziare le nefandezze della guerra e diffondere gli insegnamenti di pace del messaggio evangelico. Questo argomento, discusso dal pensatore olandese negli “Adagia”, sarà poi ripreso poi nel 1517 nell’opuscolo pacifista del “Querela pacis”..

Kant afferma che “La guerra è il male peggiore che affligge la società umana ed è fonte di ogni male e di ogni corruzione morale.[…]. Ad essa non è possibile fornire una cura assoluta e immediata”.
La forma repubblicana è, quindi, l’unica che possa garantire la pace perpetua, giacché essa è fondata su principi di libertà dei membri della società (perché uomini); su principi della dipendenza da un’unica legislazione comune (in quanto sudditi) ; sulla legge dell’uguaglianza di tutti (in quanto cittadini)
L’istituzione repubblicana è da preferirsi anche poiché lo Stato, guidato da un tiranno, non consente di perseguire l’obiettivo della pace

Einstein è pacifista dall’adolescenza fino al 1933, quando l’avvento di Hitler lo spinge a mutare la propria ideologia; il suo pacifismo trova origine in “un sentimento istintivo”, “perchè l’omicidio è ripugnante” ed ha le radici in un profondo orrore per ogni forma di odio e crudeltà.
Dopo la conquista del potere da parte di Hitler, egli muta la sua concezione pacifista.
Si definisce “un pacifista militante ma non assoluto”, contrario all’utilizzo della forza in qualsiasi circostanza, salvo contro un nemico che persegue la distruzione della vita come fine in sè.

I FILOSOFI NON PACIFISTI ED I TEORICI DELLA GUERRA

Uno dei primi filosofi dell’antichità che accenna al problema della guerra è ERACLITO. Egli afferma: “Polemos (guerra) è di tutte le cose padre, di tutte re, e gli uni rivela dei e gli altri uomini, gli uni fa schiavi e gli altri liberi”
Per Eraclito non può esistere una pace totale, assoluta ed eterna, esiste una pace perché prima si è verificata una guerra, ed il fatto che ci siano pace e guerra crea l’armonia nel divenire. stabilità, euritmia, equilibrio, termini contrari che si completano secondo la legge del logos. L’armonia che si realizza tra le cose presenti nella realtà consiste, infatt,i nell’UNITA’ e IDENTITA’ degli opposti in tensione tra loro. Eraclito sostiene che non si tratta solo di una successione di un opposto all’altro, ma verità che attribuisce alla guerra un ruolo particolare: il simbolo di tutto ciò che avviene nell’universo

PLATONE concepisce la guerra indispensabile strumento per la più generale arte politica; la guerra non è considerata da Platone qualcosa di negativo o condannabile ma ciò che partecipa dell’attività di governo e ciò che partecipa anche al mantenimento dell’ordine e della pace all’interno della polis. Egli riconosce la naturalità e quindi la non eliminabilità definitiva della guerra.

Per Machiavelli la guerra è sia strumento di difesa sia di conquista, se necessario, e su di essa si fonda l’esistenza stessa della Signoria
In questo brano tratto da “Il Principe” è ben evidente che Machiavelli considera la Guerra strumento indispensabile per il raggiungimento dei fini politici
“Un principe non deve avere altro obiettivo, altro pensiero e altro fondamentale dovere se non quello di prepararsi alla guerra e a tutto ciò che essa comporta. Questa infatti è la sola prerogativa che ci si aspetta da chi comanda.
[…] Chi è debole militarmente diventa disprezzabile…
Machiavelli, non dimentichiamolo, vede l’universalità degi uomini, malvagia.

Il Principe, per raggiungere il suo scopo deve tenere in debito conto questa realtà. La guerra.è, quindi, inalienabile strumento per la conquista ed il mantenimento del potere politico.

Su di essa e sulla violenza si fonda l’esistenza stessa della Signoria; per Machiavelli privarsi dello strumento guerra equivale a dichiarare morto lo stesso principato

Clausewitz.
Per comprendere l’importanza di questo grande filosofo occorre tener presente che Benedetto Croce lo riterrà proprio maestro. Credo che sia il filosofo che abbia analizzato cartesianamente il fenomeno guerra; il filosofo maggiormente studiato da strateghi ed apprendisti strateghi, anche ai giorni nostri.

I suoi scritti, unitamente a quelli di Sun Tzu.e Machiavelli, sono oggetto di profondo studio nelle più rinomate Università del Mondo che insegnano Management a chi è destinato ad assumere elevate responsabilità politiche e amministrative, sia pubbliche, sia private.

Il Mondo Accademico, e non solo, si è reso conto dell’ analogia tra i problemi che pone la Guerra e quelli amministrativi in genere, carettarizzandosi essi per l’elevato grado di incertezza conferitogli dalla imprevedibilità di un gran numero di variabili.

Ove c’è scontro tra volontà contrapposte la casualità è dominante come in Guerra, considerata da Clausewitz “regno dell’imprevisto”.

Egli definisce la guerra: “Atto di forza che ha per scopo di costringere l’avversario a sottomettersi alla nostra volontà”.

Clausewitz assimila la guerra ad un camaleonte per evidenziarne la mutevolezza, il polimorfismo e l’imprevedibilità.
Egli ne identifica i tre elementi compositivi in un triedro complesso, distinguendo nel prodotto della loro combinazione tre diverse tendenze:
I. il “cieco istinto” nella violenza, nell’odio e nell’inimicizia;
2. la “libera attività dell’anima” nella probabilità e nel caso
3. la “pura e semplice ragione” nella subordinazione allo strumento politico

Da ciò discende una definizione più precisa dell’idea di guerra civile in Iraq: essa è principalmente e imprescindibilmente “violenza”, non è possibile prevederne gli esiti e ciò le conferisce “imprevedibilità”, è, infine, calcolo razionale.
Benché l’applicazione di questi tre principi rispettivamente al popolo , al condottiero e al suo esercito, e al governo, sia assolutamente riduttiva, essa ci consente di dedurre e di comprendere non solo la nota formula “La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi” quanto una serie di caratteristiche comuni ad ogni conflitto imposte dalla realtà alla teoria.

Divide le guerre in due grandi categorie a seconda dei finì che si pongono:
• guerre che si propongono di “atterrare l’avversario, sia distruggendolo politicamente, sia mettendolo semplicemente nell’impossibilità di difendersi, imponendogli quindi la pace che si vuole” ;
• guerre che hanno come obiettivo “qualche conquista lungo le frontiere di uno stato, sia che si intenda conservarla, sia che si voglia sfruttarla come mezzo vantaggioso di scambio nelle trattative” .
Secondo Clausewitz, le guerre nella storia, pur appartenendo tutte ad uno stesso “genus”, si manifestano in una pluralità di situazioni contingenti che possono essere ricondotte a diverse e specifiche configurazioni locali, determinate dal livello di sviluppo dei soggetti coinvolti la storia della guerra e dalla loro struttura organizzativa.

Nel corso dell’ evolversi del pensiero occidentale, il contrasto tra la visione Pacifista e non pacifista non si è mai attenuato, e tutt’ora pervade le concezioni filosofiche, ideologiche e politiche.
Chi ha ragione? Lo sa solo Dio. Forse tutti hanno ragione. La tragedia umana , è proprio in questo, altrimenti sarebbe Commedia.

La dicotomia Guerra-Pace attraversa l’intera storia del pensiero. Da Eraclito ad Einstein. Uso il termine pacifismo per indicare la corrente di pensiero che considera la Pace un bene da perseguire, costi quel che costi, trattandosi di valore positivo assoluto ed universale. Ovviamente,
i filosofi non pacifisti non sono da considerarsi, per questo,
guerrafondai.

Giuseppe Brindisi

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